Il primato della coscienza nella politica
Rocco Buttiglione
Magnifico Rettore
Chiarissimi Professori
Cari Studenti della Università Cattolica di Lublino
Signore e Signori,
nei momenti difficili della vita, quando ci si trova a dovere prendere decisioni importanti, è bene fermarsi per un poco a riflettere e, nel tempo della riflessione, anche chiedere consiglio. La vita di ogni uomo è infatti qualcosa di unico e di irripetibile e soltanto chi la vive in prima persona ha il diritto di decidere. Soltanto chi vive in prima persona una situazione, infatti, la conosce in tutti i suoi risvolti. Cosa ancora più importante: solo chi la vive in prima persona porta su di sé le conseguenze dell'azione e proprio per questo ha il diritto di decidere. Decidendo dell'azione egli infatti decide di se stesso.
E tuttavia nel tempo della decisione ciascuno di noi sente anche l'impulso di chiedere consiglio. Se infatti ogni esperienza umana è unica ed irripetibile è però anche vero che ogni esperienza umana è al tempo stesso parte della esperienza dell'uomo. In modo di volta in volta diverso ma analogo le medesime situazioni fondamentali si ripetono nella vita di ciascuno di noi e ciò che un altro ha vissuto può illuminare ciò che a noi tocca di vivere. Impariamo dalle esperienze dell'altro e l'esperienza dell'altro ci può aiutare a comprendere anche la nostra. Gli uomini non sono estranei gli uni agli altri.
Non apprendiamo solo dalla esperienza dell'altro. L'altro può anche aiutarci a comprendere in modo obiettivo la nostra esperienza. Tante volte diciamo: chi non ha vissuto certe cose dall'interno non può capire. È vero ma forse questa frase non contiene tutta la verità. Molte volte infatti noi siamo prigionieri di quello che viviamo; la forza delle emozioni che si impongono alla nostra coscienza è tale che non riusciamo a vedere ed a giudicare in modo obiettivo la situazione complessiva nella quale ci troviamo. Allora per esempio non siamo in grado di comprendere le ragioni degli altri esseri umani che insieme con noi sono coinvolti in quella situazione o non riusciamo a comprendere, al di là della passione che ci anima, quale sia il vero bene e quale sia la risposta oggettivamente giusta e dovuta ai valori in gioco in quella situazione. In tutti questi casi chi non è direttamente coinvolto nella situazione proprio perché non la vive in prima persona può aiutarci a districarci nella sua complessità ed a capire quale sia la cosa giusta da fare, specialmente quando la cosa giusta da fare sia difficile per noi da accettare perché contraddice il nostro utile immediato, la nostra passione del momento, la nostra superbia ed il nostro orgoglio.
Per questo nella vita è importante chiedere consiglio.
Ma a chi chiederemo consiglio quando ne abbiamo bisogno? Sembra che due siano le caratteristiche fondamentali di un saggio consigliere. Deve avere saggezza di vita e semplicità di cuore. Per questo molte volte è bene chiedere consiglio a chi è più anziano ed ha più esperienza, a chi è già passato attraverso tempeste simili a quelle nelle quali noi ci troviamo. Tuttavia altrettanto spesso è bene chiedere consiglio agli uomini semplici come bambini, che sanno andare dritto a ciò che è essenziale, a ciò che è di per sé evidente, e ci impediscono di perderci nel groviglio dei ragionamenti con i quali cerchiamo di convincerci che ciò che la nostra passione del momento pretende sia anche ciò che è in se stesso giusto.
È bene infine che colui a cui chiediamo consiglio sia un amico. Un amico è fuori della situazione ma è coinvolto anche emozionalmente perché ha cuore il nostro vero bene. Non condivide, ed è bene che non condivida le passioni che ci agitano, ma gli importa di noi. Noi siamo parte della sua vita ed egli è parte della nostra. I valori che danno senso alla nostra esistenza e verso i quali ci sentiamo responsabili nel momento della decisione li condividiamo con lui e, spesso, li abbiamo scoperti insieme con lui. Quando l'amico è anche un Maestro questi valori, che poi hanno illuminato il nostro cammino, li abbiamo imparati da lui.
Nella decisione, allora, è in questione il nostro comune destino. Verso i nostri amici noi siamo responsabili. Per questo è giusto chiedere il loro consiglio nel momento della scelta, della quale tuttavia noi continuiamo a portare l'intera responsabilità.
Vi sono molti modi di chiedere consiglio. Un modo è semplicemente quello di chiamare e domandare: "Questo è quello che mi è successo. Che cosa devo fare?". Talvolta gli avvenimenti incalzano in modo tale che non è possibile chiedere un consiglio in un modo esplicito. Dovremmo spiegare troppe cose e non ne abbiamo il tempo. Dobbiamo decidere da soli. Se però veramente abbiamo degli amici, anche quando siamo da soli non siamo veramente soli.
Mentre riflettiamo con noi stessi ci domandiamo contemporaneamente cosa i nostri amici direbbero se fossero presenti e se sapessero esattamente come stanno le cose. Anche se non abbiamo la possibilità di consultarli nel momento delle decisioni noi sappiamo di esercitare una responsabilità verso di loro. É per questo che dopo la decisione sentiamo tuttavia la necessità di giustificarci davanti ai nostri amici, di rendere loro ragione di quello che abbiamo fatto, di avere da loro conferma di quello che abbiamo scelto in un dialogo silenzioso in cui loro tuttavia, pur nella lontananza ci sono stati presenti.
Ma perché è così importante per noi il giudizio degli altri? Forse perché l'uomo è un animale gregario che ha bisogno dell'approvazione di altri per essere sicuro di se stesso?
Dobbiamo qui essere attenti ad evitare un possibile equivoco. Ciò che veramente è importante per noi non è il giudizio degli altri, l'approvazione dell'ambiente sociale circostante ma piuttosto il giudizio degli amici. È inevitabile qui che ci domandiamo chi sono gli amici. Aristotele ci dice che la forma più alta di amicizia è quella che nasce dal desiderio sincero del vero bene dell'altro e, insieme, dalla conoscenza del vero bene dell'altro. Per questo l'amico è uno che per noi è autorevole. Auctoritas in latino viene dal verbo augeo (crescere). Autorevole è chi è capace di far crescere, di aiutare a crescere.
L'amico in questo senso è chi ci aiuta a crescere in umanità. L'amico in questo senso si definisce attraverso una storia. Amico è colui insieme con il quale abbiamo scoperto e vissuto qualche cosa che ci ha fatto crescere in umanità. Amico è colui con il quale abbiamo condiviso la scoperta di valori che impegnano la nostra responsabilità. La scoperta di un valore è infatti sempre legata alla scoperta di una nostra responsabilità verso il valore. Il valore, ciò che vale, merita di essere ma la sua esistenza concreta vive nel nostro impegno ed è anzi una modalità del nostro stesso essere.
La risposta al valore è la nostra autorealizzazione nel valore e secondo il valore. Il valore della verità chiede di essere reso concretamente esistente nel nostro essere veri, nel nostro vivere secondo la verità. La coscienza è il luogo in cui noi ci interroghiamo sulla nostra relazione al valore e, contemporaneamente, ci interroghiamo su noi stessi. L'incontro con il valore ci apre infatti la possibilità del nostro vero essere, ci dischiude le porte della possibilità della esistenza autentica.
Davanti a questa possibilità se ne dischiude ovviamente un'altra: quella del rifiuto e del tradimento del valore incontrato e riconosciuto, la possibilità dell'esistenza inautentica. Nella scelta fra queste due possibilità si svolge e si concretizza la vita morale.
La scelta, dicevamo, non è solitaria. A volte i filosofi, e specialmente i filosofi fenomenologici, oppongono la dimensione della intersoggettività a quella della oggettività. Farlo sarebbe un errore ed una confusione grave. Il mondo dei valori, che ha una consistenza oggettiva e proprio per questo fa appello alla nostra responsabilità ed alla nostra coscienza, ci si manifesta nel nostro essere insieme con altri e chiede di essere esistenzialmente realizzato insieme con altri. L'intersoggettività trae il suo senso dalla oggettività del valore e ne accompagna la scoperta e la realizzazione. Il desiderio dell'uomo ed il dinamismo profondo della vita morale non si rivolge verso un semplice essere insieme con gli altri ma verso un essere insieme con gli altri nella verità, nella scoperta della verità e nel crescere insieme con altri nella verità. È la verità che mette insieme gli uomini.
La comunità degli uomini nella verità si distingue da un altro tipo di falsa comunità: quella che mette insieme gli uomini sulla base della paura ed in modo particolare sulla base della paura della solitudine, della paura di essere abbandonati. La possibilità della solidarietà chiede il coraggio di rifiutare il ricatto della solitudine. Proprio per poter essere con altri nella verità è necessario mettersi in gioco e rifiutare un essere con gli altri senza verità.
Quello della intersoggettività senza verità è il ricatto più sottile che possa essere fatto: se non rinunci a ciò che hai conosciuto come vero verrai escluso dalla amicizia e dalla comunità con gli altri esseri umani. Questo ricatto è il peggiore proprio perché l'umana ricerca della verità ha un suo aspetto comunionale, intersoggettivo. Proprio per questo la intersoggettività non dovrebbe mai venire opposta alla oggettività della verità.
La coscienza è dunque responsabile vero la verità e, contemporaneamente, verso coloro insieme con i quali ci siamo vincolati alla verità. Quando non possiamo raccogliere il consiglio direttamente consultiamo la loro immagine che portiamo in noi stessi e poi andiamo a rendere loro ragione di ciò che abbiamo fatto. Questo è in un certo senso esattamente quello che noi oggi stiamo facendo.
Io, dottore di questa Università, che dai suoi Maestri tanto ho imparato sulla verità dell'uomo, vengo a rendere ragione di ciò che ho fatto e insieme a chiedere consiglio. Questo corrisponde bene alla natura di una università. L'Università è infatti un luogo dedicato alla ricerca della verità Di più: la ricerca della verità si svolge, nel clima della istituzione universitaria, non in una solitudine ed in un isolamento dagli altri, ma con un metodo comunionale, attraverso una ricerca comune. Per questo l'amicizia che si forgia all'interno della università e che coinvolge docenti e discenti, ha una qualità particolare. Il riferimento ad essa orienta e sostiene le decisioni della nostra coscienza.
Quello che è accaduto è ben noto. Io sono stato proposto per l'incarico di membro della Commissione Europea. La proposta per tale incarico è fatta dai governi degli stati membri. I candidati sono sottoposti ad una audizione da parte del Parlamento Europeo. I candidati vanno esaminati dal punto di vista della loro competenza professionale ( si dovrebbe verificare se capiscono qualcosa delle cose di cui si dovranno occupare) e dal punto di vista della integrità morale. Non si tratta di una valutazione politica. Mentre è normale che in un parlamento azionale si valuti la vicinanza politica con le proprie idee da parte del candidato, per esempio, ad un ruolo di ministro, questo nel Parlamento Europeo non può avvenire. I Commissari, infatti, sono nominati dai singoli paresi membri che hanno governi ovviamente di segno politico differente. Per questo uomini che non potrebbero mai sedere insieme nello stesso governo nazionale possono e debbono sedere insieme nella medesima Commissione Europea. Durante la mia audizione nessuno ha sollevato dei dubbi sulla mia competenza professionale, e tuttavia ho raccolto la minaccia da parte dei socialisti, dei liberaldemocratici, dei verdi e dei comunisti di votare contro la Commissione se io non mi fossi dimesso. Devo dunque desumere che mi si è ritenuto indegno moralmente di esercitare la funzione di Commissario Europeo. E quale è la ragione di questa indegnità morale? Avere affermato a proposito della omosessualità quanto è contenuto nel Catechismo della Chiesa Cattolica. A quella stregua né Adenauer né De Gasperi né Schuman avrebbero mai potuto fare i commissari europei.
Qualcuno ha elogiato il mio coraggio, qualcuno mi ha rimproverato di avere ostentato la mia fede cristiana Devo dire che non merito l'elogio e neppure la critica. Io sono stato un cristiano prudentissimo, quasi come Nicodemo, che andava a trovare Gesù solo di notte per paura degli scribi e dei farisei. Non sono stato io ad introdurre una parola così carica di emotività come la parola peccato nella discussione pubblica. Questo lo hanno fatto i miei oppositori. Purtroppo i molti anni trascorsi nello studio e nell'insegnamento della filosofia, per di più in una variante fenomenologica, mi hanno reso difficile aggirare le questioni e parlare senza dire niente (arte, questa, che per un politico può essere talvolta di grande utilità). Ho risposto dunque dicendo il minimo che un cristiano (non coraggioso ma anzi piuttosto timido) può dire: "io posso pensare che l'omosessualità sia un peccato ma questo non ha nessun impatto politico se io non dico che l'omosessualità è un crimine. Questo io però non lo dico, anzi aderisco convintamene al principio di non/discriminazione verso gli omosessuali. Se infatti tutti i peccatori dovessero essere puniti dovremmo andare tutti in galera ed io per primo. Una cosa è il livello della politica e del diritto, una cosa è il livello del giudizio morale ed Parlamento Europeo non ha il diritto di entrare nella mia coscienza e di dirmi cosa devo pensare.
Si tratta, come è evidente, di un antico principio liberale. Sulla base di questo principio liberale persone che hanno visioni morali diverse possono convivere come cittadini di pari diritti della medesima comunità politica. Questo principio liberale è, contemporaneamente, un principio cristiano. Nel suo incontro con l'adultera Gesù non le dice "brava, hai fatto bene, continua così, torna dal tuo amante o anche cercatene un altro ancora diverso". Le dice invece "va' e non peccare più" (J 8,11). Il che significa" quello che hai fatto è male ma io non ti condanno. Non ti condanno non perché tu sia innocente ma perché io ti perdono". Contemporaneamente Gesù dice agli astanti: "voi non avete il diritto di condannare, perché anche voi siete peccatori e bisognosi di misericordia. Siate misericordiosi, come siete bisognosi di misericordia". Solo Gesù ha il diritto di condannare, ma Gesù sceglie di non condannare perché non per questo è venuto al mondo ma per salvare l'umanità.
Il Parlamento Europeo ha rifiutato questa distinzione liberale e cristiana ed ha invece instaurato una nuova Inquisizione. Non si è interessato ad una posizione o ad una linea politica ma ad una convinzione di coscienza cercando di instaurare una nuova ortodossia, una specie di nuova religione atea dell'Unione. Per questa nuova religione atea esiste solo una verità, e questa è che non esiste nessuna verità. Chi non voglia rinunciare a giudicare secondo i criteri del bene e del male, del giusto e dello sbagliato, è un cittadino di seconda categoria e non può esercitare responsabilità nell'Unione. Una società libera invece è una società in cui i peccatori sono liberi di peccare ed i parroci o i filosofi sono liberi di dire che il peccato è peccato. Se viene meno una di queste due libertà la società non è più libera.
Ho detto che il Parlamento Europeo si è assunto questa tremenda responsabilità di agire contro la Costituzione, arrogandosi un potere che non ha ed instaurando una vera e propria inquisizione ideologica. In realtà non è andata proprio così. Gruppi parlamentari forse maggioritari in Parlamento hanno minacciato di non votare la fiducia alla Commissione se io non mi fossi dimesso. Tuttavia nessun voto di fatto ha avuto luogo. Io infatti mi sono dimesso proprio per evitare che quel principio fosse affermato. La questione dopo le mie dimissioni rimane aperta. Ad essa dovrà dare risposta la lotta culturale e politica dei prossimi anni, per determinare quale è alfine l'Europa che noi vogliamo.
Nel momento della decisione mi è tornato in mente un libretto di un professore di questa Università, il Padre Taddeo Styczen. Si tratta originariamente di una conferenza da lui pronunciata in occasione di un Meeting di Rimini. Il titolo era Jan Kowalsky. Jan Kowalsky era uno dei tanti prigionieri di coscienza, tratteuti nelle carceri o nei luoghi di confino di Jaruzelsky ai quali veniva offerta la libertà a condizione che sottoscrivessero una dichiarazione di sottomissione al regime. Styczen spiegava come dire il falso per riottenere la propria libertà significa umiliare e ferire quella stessa libertà. Ciò che infatti il potere teme è la forza della verità. Ma se facciamo della verità una merce di scambio, se riteniamo di poterla tradire per trarne un utile, noi rinunciamo con ciò stesso alla forza della verità. Come potremo richiamarci ad essa quando praticamente mostriamo di non riconoscerla e di conoscere solo la logica del potere o, comunque, mostriamo di sottometterci piuttosto alla logica del potere che alla forza della verità?
Contemporaneamente mi tornavano alla memoria le parola di un martire scozzese del secolo XVII, il conte di Gordon. A chi gli offriva la vita e la libertà in cambio dell'abiura il conte di Gordon ha risposto: "E' più facile staccare la mia testa dal mio corpo che il mio cuore dal mio Signore". Sapevo però benissimo di non potermi paragonare al conte di Gordon e nemmeno a Jan Kowalsky. Allora ho detto a chi mi invitava a ritrattare le cose che avevo dello "è più facile staccare il mio sedere dalla mia sedia che il mio cuore dal mio Signore". Solo Dio sa se avrei la forza di dare la mia testa per il mio Signore. Spero di sì ma preferirei non essere messo alla prova. Abbastanza forza per dare una poltrona nella Commissione Europea invece ne ho avuta. Ci sono cose più importanti che un seggio nella Commissione, la fede e la coscienza vengono per prime fra queste cose.
Fin qui la mia vicenda personale. Ma voi non mi avreste dato la solidarietà che mi avete dato ed io non sarei qui per l'incontro di oggi se fosse in questione semplicemente la vicenda di una ingiustizia personale subita. E' in gioco qualcosa di più.
Prima di tutto è in gioco la questione se un cattolico, ma anche un cristiano e probabilmente pure un ebreo credente possa essere Commissario della Unione Europea:
Ciò che ho affermato io è infatti il minimo che un credente poteva affermare. Sono i cristiani cittadini di seconda classe dell'Unione? A questa domanda è necessario dare una risposta sul piano istituzionale ed una sul piano politico. Sul piano istituzionale è necessario una riforma del regolamento del Parlamento che impedisca per il futuro che si ripetano abusi della maggioranza come quello che si è verificato in questa occasione. Sul piano politico è necessario mobilitare i credenti in Europa e insieme con essi, tutti coloro che amano la libertà e che credono in quei principi liberali che soli possono consentire la convivenza di uomini con diverse visioni del mondo all'interno di una medesima comunità politica e come cittadini con uguali diritti. Coloro che hanno perpetrato questo misfatto si sono resi conto di avere esagerato e cercano di farlo dimenticare. Essi temono che un caso troppo evidente di discriminazione anticristiana nell'Unione possa mobilitare le forze grandi ma sonnolente e divise dei cristiani. E' compito nostro invece fare in modo che quella vergogna non venga dimenticata e invitare i cristiani e tutti gli uomini che amano la libertà ad agire per salvaguardare il loro diritto di essere cittadini di prima categoria nell'Europa di domani.
Una seconda domanda a cui non possiamo sfuggire è "perché è accaduto questo?". Certo, si è voluto umiliare un cristiano per intimorirne molti altri. Si è voluto mostrare che l'esclusione del riferimento a Dio nella Costituzione non è una omissione per ragioni di opportunità ma una positiva confessione di un'altra fede, atea, relativista e anticristiana.
Non si tratta però solo di questo. Una potente lobby vuole imporre da Bruxelles a tutti gli stati membri il riconoscimento del matrimonio fra omosessuali e la cosiddetta "pro-active action", cioè la promozione attiva da parte dello stato di stili di vita omosessuale. Ciò che si vuole, sostanzialmente, è mettere da parte il concetto tradizionale di famiglia, fatta da un padre, una madre e alcuni figli. Io credo invece che lo stato debba promuovere attivamente la famiglia perché la famiglia svolge una funzione socialmente positiva, indispensabile per la vita di tutte le nazioni. Nella famiglia infatti nascono e vengono educati i bambini e senza bambini la nazione muore.
Già oggi in Europa nascono troppo pochi bambini perché l'ideologia dominante esorta i giovani ad essere cinici, a non credere nell'amore e a separare completamente il sesso dell'amore. Il risultato è che il sesso diventa noioso e l'amore scompare.
Invece di proseguire su questo cammino noi abbiamo bisogno di invertirlo. Abbiamo bisogno di un clima culturale che incoraggi i giovani ad accettare l'avventura appassionante di diventare genitori. Abbiamo bisogno di politiche familiari che aiutino le donne a svolgere contemporaneamente il loro diritto alla valorizzazione delle loro capacità professionali ed il loro diritto a diventare madri. E non dobbiamo trattare le donne che rinunciano ad una carriera professionale per prendersi cura della loro famiglia come esseri di minor valore. La loro scelta ha, al contrario, un elevato valore culturale,sociale e politico.
Nel futuro dell'Europa la questione dei valori coincide in larga parte con la questione della famiglia. Il pericolo più grande per l'Europa non è l'Islam ma il nichilismo che sale dal nostro interno e dissecca le fonti della nostra vitalità e della nostra creatività. Chi potrà rimproverare l'Islam se esso verrà ad occupare le nostre terre dopo che in Europa senza figli si sarà definitivamente svuotata di uomini e sarà scomparsa dalla storia?
Le questioni del matrimonio e della famiglia sono, sulla base della legislazione vigente ed anche sulla base del nostro Trattato Costituzionale che verrà presto sottoposto alla verifica dei Parlamenti e dei Popoli, questioni di esclusiva competenza degli stati membri. È però evidente che la lobby anti/famiglia del Parlamento Europeo cercherà attraverso una interpretazione capziosa della Costituzione di mettere sotto pressione i Parlamenti Nazionali e di arrogarsi poteri che non le competono. Per questo io intendo proporre al Parlamento Italiano di accludere al voto di ratifica della Costituzione una Dichiarazione interpretativa che conferma il fatto che la definizione del matrimonio e della famiglia e le questioni relative alla difesa della vita rimangono interamente nell'ambito della sovranità dei singoli stati membri. Nessuno si deve illudere di poterci prescrivere da Bruxelles come dobbiamo fare a Roma piuttosto che a Varsavia su questa materia delicatissima che, toccando la vita e la famiglia, toccano le radici stesse della identità nazionale. Questa proposta ho fatto io il 7 di gennaio ai parlamentari della CSU a Monaco di Baviera e questa proposta ripeto io oggi a voi. Sarebbe bello se in tutti, o almeno nei principali paesi, si richiamasse con forza il fatto che le decisioni in materia di famiglia rimane alle nazioni.
Altra cosa è la non discriminazione degli omosessuali in quanto persone, altra cosa è la creazione di una condizione privilegiata per l'omosessualità in quanto stile di vita. Confermare che in tale materia il Parlamento Europeo non ha nessun potere sarebbe la giusta risposta culturale e politica al guanto di sfida che è stato lanciato. E se qualcuno invece crede di dovere cedere a Bruxelles il diritto di decidere su queste cose, cioè il cuore più intimo della sovranità della nazione, per lo meno si prenda le sue responsabilità in Parlamento votando contro una mozione che invece ribadisca questo principio. Il popolo, poi, alla prossima scadenza elettorale, giudicherà.
È certamente lecito a questo punto porre una terza domanda: Ma questa Europa che ha paura o vergogna di nominare nel suo Preambolo il nome di Dio, questa Europa che vuole discriminare i cristiani e ridurli al ruolo di cittadini di seconda categoria, questa Europa avviata verso un morbido suicidio e così presa dall'odio verso se stessa da considerare come nemico chiunque cerchi di salvarla, è ancora la nostra Europa? Ha ancora senso stare in questa Unione?
Sono, queste, domande legittime e nessuno più di me può comprendere lo sdegno e la legittima indignazione da cui nascono. E tuttavia io devo dire con grande onestà e chiarezza che sarebbe sbagliato cedere all'amarezza e tirarsi fuori dalla battaglia in cui si decide dell'anima dell'Europa. La semplice verità è infatti questa: noi siamo Europa, la Polonia è Europa, l'Italia è Europa. Non esiste un'altra Europa in cui noi possiamo vivere la nostra identità nazionale. Se questa nave che è l'Europa dovesse andare a fondo non vi sarebbero scialuppe di salvataggio per nessuno. Possiamo dire, d'altro canto, che qualcuno dei nostri paesi, la Polonia o l'Italia, sia immune dal contagio di quella malattia del nichilismo di cui soffre l'Europa? No, il destino è comune, la malattia è comune ed anche la guarigione può solo essere comune. Le domande esasperate che io ho citato all'inizio di questa sezione ci devono piuttosto rendere attenti ad un fatto: l'Europa che si sta costruendo non è un Paradiso Terrestre ma il luogo di una lotta. Certo: non è la nostra Europa ma non è neppure la loro Europa se noi sapremo lottare senza scoraggiarci dopo le sconfitte e senza troppo esaltarci dopo le vittorie. Questa lotta durerà a lungo. Io non so dire se noi la vinceremo .
Civilizzazioni che hanno dominato la storia per secoli alla fine sono scomparse ed anche la promessa di Gesù di una vittoria finale della fede vale per il cristianesimo ma non necssariamente per la civiltà cristiana europea ed occidentale.
Quello che è sicuro è che loro, gli altri, i nostri avversari non possono vincere. Il loro progetto non è un progetto di costruzione di un'altra Europa. Esso è piuttosto un progetto di distruzione di questa Europa, dell'unica Europa che c'è.
Se dovesse prevalere fra di noi la prospettiva del nichilismo, davanti alle sfide del secolo XXI (prima fra tutti l'Islam) l'Europa potrebbe solo crollare. Per questo la nostra non è una lotta per una Europa cristiana. È una lotta per la salvezza dell'Europa che non è possibile senza un ritorno ad alcuni fondamentali valori naturali. Non sono forse la libertà e la ragione e la famiglia valori naturali? Certo, essi sono contemporaneamente anche valori cristiani, ma solo perché la rivelazione cristiana conferma e approfondisce anche valori che erano già contenuti nell'ordine della creazione e sono in linea di principio accessibili ad ogni essere umano. Per questo la nostra lotta non ha un carattere confessionale, è laica, razionale, umana. Non si fonda sul dogma religioso ma sulla razionalità umana, civile e politica.
Certo è pur vero che quando l'Europa si allontana dal cristianesimo insieme con la verità cristiana va perduta anche la verità umana sulla nostra storia e sulla nostra cultura. Il tema del nichilismo di oggi non è infatti la morte di Dio ma piuttosto la morte dell'uomo, la decostruzione della civiltà e della cultura. L'Europa che rinnega il cristianesimo finisce con l'odiare se stessa, come ha detto una volta il Card. Ratzinger, e con lo sforzarsi di distruggere la propria umanità.
Queste considerazioni appartengono però ad un altro ordine di riflessioni, di teologia e di filosofia della storia. Rimanendo nell'ordine e nel linguaggio secolare e politico diciamo invece che quella che è in corso oggi in Europa è una lotta intorno all'uomo, una lotta sul significato dell'uomo. Lotta intorno all'uomo è il titolo di un libretto, apparso diversi anni fà, di tre illustri docenti di questa Università Cattolica di Lublino, Karol Wojtyla, Tadeusz Styczen e Andrzej Szosteck Rileggendole oggi quelle pagine appaiono per molti aspetti profetiche. Questa lotta intorno all'uomo si decide, oggi, in Europa.
Se dunque non possiamo uscire dall'Europa allora dobbiamo entrare ancora molto più profondamente in Europa ed in questa lotta intorno all'uomo, con una decisione ed una passione ancora di molto più grandi.
Alcuni aspetti decisivi di questa lotta si svolgono sul terreno della politica. Non dobbiamo avere paura della politica. L'offensiva contro l'Europa muove dal terreno della politica, su questo terreno bisogna rispondere. Le forze di coloro che vogliono che l'Europa viva sono grandi, ma addormentate. Quelle di coloro che hanno solo un progetto per la morte dell'Europa sono assai minori, ma tutte mobilitate, tese e consapevoli del loro scopo.
Anche nella mia vicenda personale abbiamo perso per un solo voto. Non dobbiamo avere lo stato d'animo di perdenti rassegnati o già pronti a rinunciare alla lotta. Dobbiamo piuttosto essere tutti consapevoli del fatto che abbiamo bisogno di testimonianze cristiane nell'ambito della politica e che la dottrina sociale cristiana è un aspetto integrante ed inevitabile della dottrina cristiana proprio come la testimonianza del cristiano in politica è una parte integrante ed inevitabile della testimonianza del cristiano nel mondo.
Fare politica non è facile, come non è facile in generale vivere. Le regole della politica non sono molto diverse dalle regole della vita. La politica è infatti l'arte di indirizzare una comunità verso il suo bene comune rispettando al tempo stesso la libertà di ciascuno. Avviene lo stesso che nella vita di una famiglia: bisogna essere molto flessibili, avere una grande capacità di compromesso senza però rinunciare mai a ciò che è essenziale. In un mio precedente intervento proprio qui a Lublino, dedicato al "dolore della politica", sottolineavo già qualche anno fa' proprio questo punto. Il dolore della politica è la incapacità di convincere del bene e di guidare verso il bene. Cosa fare quando nella sfera della politica il bene non viene riconosciuto? La maggioranza non ha sempre ragione. Che fare quando la maggioranza ha torto? Bisogna tornare a sollecitare il giudizio della maggioranza con argomenti migliori e sforzandoci di fare capire meglio le nostre ragioni. La maggioranza infatti in genere decide in modo giusto se viene adeguatamente informata e se le si chiarisce in modo adeguato quali sono le alternative possibili ed i valori in gioco. Quando il popolo sbaglia in genere la responsabilità non è sua ma dei politici che non hanno saputo spiegare e convincere, cioè non hanno saputo svolgere la loro funzione di guida. Per questo è necessario alimentare i politici con nuove leve giovani, ben preparate, entusiaste ed insieme realiste e moderate.
Il politico ha bisogno di entusiasmo e convinzione nei valori ma ha egualmente bisogno di realismo e di moderazione. Il compito di condurre il popolo nella libertà e di evitare che sia ingannato non è facile ed è anzi un compito infinito. Bisogna amare senza compromessi la verità e bisogna al tempo stesso essere capaci di fare buoni compromessi per guidare un percorso che può essere solo a tappe e progressivo ed in cui a volte il massimo risultato possibile sarà solo quello di impedire un male maggiore.
Molte volte si cerca nella politica l'intransigenza. Per quanto questo desiderio sia più che comprensibile davanti all'eccesso sfacciato di opportunismo ed al tradimento dei principi fondamentali che è diventato usuale nella politica una accentuazione unilaterale della intransigenza sarebbe sbagliata. La politica è anche l'arte del compromesso per spostare il punto della decisione politica il più possibile nella giusta direzione,sapendo che il bene possibile storicamente non coincide mai con il bene assoluto , che non è di questo mondo. La politica non è solo testimonianza, essa deve essere testimonianza efficace.
Non bisogna tuttavia in questo difficile e delicato equilibrio dimenticare mai l'esempio di S Tommaso Moro, non a caso patrono dei politici. Bisogna per quanto possibile evitare di doversi trovare a scegliere fra la vittoria politica e la propria coscienza. Bisogna cioè essere capaci di ottenere il risultato senza tradire la propria coscienza. Se però le circostanze rendono impossibile mantenere questo equilibrio, allora non bisogna esitare a seguire la voce della coscienza.
Dalla sconfitta accettata nello spirito della testimonianza alla verità può nascere un bene più grande per l'uomo.